Un sentito ringraziamento a Paolo Zardi per averci concesso questa intervista e alla Neo Edizioni per averla resa possibile.

Quella che descrivi è una realtà parallela, pericolosamente vicina alla nostra, in cui tutti si aspettano una fine del mondo eclatante, un colpo di scena da film catastrofico estivo senza rendersi conto che la fine è arrivata lentamente e anonimamente.

Uno dei periodi della storia che ho sempre trovato più interessanti è la fine dell’impero romano. A scuola ci insegnano che quello occidentale cadde nel 476 d. C., ma la sua agonia durò almeno duecento anni, con uno strascico di altri cento: a metà del sesto secolo il senato del popolo romano continuava a riunirsi con la convinzione che nulla fosse cambiato. Credo che i grandi organismi non muoiano di colpo, ma finiscano per consunzione, con un’implosione al rallentatore. Non sono sicuro che l’Occidente sia al suo epilogo, ma i segnali, in questo senso, non mancano. La ricchezza si sta spostando altrove, e i valori che avevano sostenuto l’espansione del nostro mondo – la democrazia, la libertà di espressione, la solidarietà sociale – sono stati piallati dalla supremazia dell’economia in ogni campo: in questi anni, per fare un esempio, si parla di libri come fossero “prodotti”, e gli individui sono indicati con il termine “consumatori”. Non è semplice immaginare come saranno l’Europa e l’Italia tra dieci anni; se però nel frattempo non vengono fuori buone idee, sappiamo di sicuro come non sarà più.

Ho percepito una mescolanza di linguaggi espressivi, principalmente letterari e cinematografici. Linguaggi che a mio modo di vedere hanno permesso di creare una realtà verosimile e terribile da affrontare. Che influenze ci sono dietro a “XXI Secolo”?

Un libro è un particolare distillato di vita e letture: la prima mette la sostanza, la “ciccia”, di cui si compone il romanzo; le seconde, invece, contribuiscono alla creazione del proprio linguaggio. Nel caso di “XXI Secolo”, il cammino per arrivare a trovare la voce che cercavo è stato lungo e faticoso: cercavo una lingua più ruvida, più sporca rispetto a quella che avevo usato nei libri precedenti. In questo senso, i riferimenti più importanti sono stati Saul Bellow e il suo meraviglioso romanzo “Le avventure di Augie March” e tutti i libri di Martin Amis, un autore poco noto in Italia ma che io considero imprescindibile. Devo ammettere, invece, che dal punto di vista cinematografico i miei riferimenti sono limitati: da una decina d’anni, vedo praticamente solo film di animazione per bambini – sarebbe interessante capire, anche da un punto di vista antropologico, se la visione di Shrek, Wall-E e Ralph Spaccatutto può produrre un mondo immaginario come quello di “XXI Secolo”.

Alcuni aspetti della descrizione della decadenza del mondo (in particolare la storia del cavallo transessuale) sembrano rientrare in questo tono. Quasi a voler utilizzare l’ironia per mettere in risalto ancora di più il motivo per cui si è arrivati alla fine, mi vien da dire una sorta di involuzione dello sviluppo del cervello umano.

Anche se assente in buona parte della produzione letteraria italiana degli ultimi cinquant’anni, l’ironia è l’essenza stessa del romanzo occidentale, da Cervantes in poi. C’è ironia in Sterne, in Flaubert, in Cechov, in Kafka, in Bellow e in Philip Roth, in Flannery O’Connor, in Nabokov e in Wallace: è l’ingrediente principale dello sguardo dei più grandi autori, quello che gli garantisce la giusta distanza dal materiale che sta trattando. Ironia significa guardare il mondo sub specie aeternitatis, come se fosse già finito, o con la curiosità e la libertà morale di un entomologo che osserva e poi descrive un formicaio; un romanzo privo di ironia scivola inevitabilmente nel pantano del patetico. Come lettore, cerco autori intimamente ironici; come autore, cerco di non dimenticare mai la lezione dei grandi maestri.

Quanto è importante per il Paolo Zardi scrittore avere una casa editrice come Neo alle spalle?

Ho conosciuto la Neo edizioni nell’aprile del 2009, a una presentazione del loro primo libro, “E vissero tutti felici e contenti”: eravamo a Bologna, alla libreria Betty Book (un luogo dove si promuoveva il piacere sessuale della donna), e là ho capito che avrei voluto fare qualcosa con loro. Tornando da quella serata ho mandato un messaggio a Francesco Coscioni, dicendogli che mi sarebbe piaciuto poter partecipare a un loro progetto – io pensavo a qualcosa tipo mettere le fascette ai loro libri o scrivere le quarte di copertina. Le cose sono andate diversamente, ma lo spirito non è cambiato. Mi sento di far parte di un progetto editoriale in cui credo profondamente, fatto di passione, competenza e buon senso. L’affermazione di “XXI Secolo” è il frutto di un piccolo gruppo di persone dai talenti eterogenei: Angelo Biasella, direttore editoriale della Neo, Francesco Coscioni, commerciale ma anche motore artistico, e, da poco, l’ufficio stampa Francesca Fiorletta, che sta facendo scintille. Con loro sento di avere delle affinità molto profonde: sono la casa editrice con la quale vorrei sempre lavorare.

“XXI Secolo” aveva già avuto un’ottima accoglienza di critica e pubblico ancora prima della sua entrata nei dodici del Premio Strega. In che modo ha influito, se ha influito, l’entrata nella dozzina? La gente ti ferma per strada? Hai più richieste di interviste e presentazioni?

Il coinvolgimento di “XXI Secolo” al Premio Strega è stato come se qualcuno avesse improvvisamente acceso alla luce e si fosse accorto che esistesse questo libro, questo autore, questa casa editrice: per i grandi gruppi si tratta di routine, per noi è cambiato tutto. Mi è successo, ad esempio, di essere fermato per strada, di essere riconosciuto; di ricevere centinaia di richieste di amicizia su Facebook; di aver rilasciato decine di interviste – telefoniche, via mail, televisive – e di aver fatto più presentazioni in questi due mesi di quante ne avessi fatte per “La felicità esiste”, il mio precedente romanzo per Alet, e “Il giorno che diventammo umani”, la mia ultima raccolta di racconti per la Neo Edizioni, in tre anni. Vivo questa notorietà, questa fama in miniatura, con molta autoironia, sapendo bene quanto tutto questo sia fugace e passeggera.

Ci hai descritto il XXI secolo e lo hai reso così verosimile che guardandosi intorno sembra di scorgere già qualcuno dei segnali da te lanciati. Ora mi chiedo, come sarà, se ci sarà, il XXI secolo visto da Zardi?

Ho due bambini di 11 e 8 anni: anche se ho diversi dubbi che questa società votata al consumo riesca ad invertire la rotta, mi impongo di essere ottimista e, per quanto mi è possibile, di impegnarmi per rendere questa parte di mondo un po’ migliore. Ecco cosa mi piacerebbe, che i miei figli, tra qualche anno, prendendo in mano il mio libro, pensassero: ma che strano sogno aveva fatto il papà nel 2015.

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Paolo Zardi, nato a Padova nel 1970, ingegnere, sposato, due figli, ha esordito nel 2008 con un racconto nell’antologia Giovani cosmetici (Sartorio). Successivamente ha pubblicato le raccolte di racconti Antropometria (Neo Edizioni, 2010) e Il giorno che diventammo umani (Neo Edizioni, 2013), spingendo molti a definirlo il miglior scrittore italiano di racconti vivente. Suoi il romanzo La felicità esiste (Alet, 2012) e il romanzo breve Il Signor Bovary (Intermezzi, 2014). Ha partecipato a diverse raccolte di racconti (Caratteri Mobili, Piano B, Ratio et Revelatio, Hacca, Psiconline, Galaad, Neo Edizioni) e suoi racconti sono stati pubblicati su Primo Amore, Rivista Inutile e nella rivista Nuovi Argomenti. È il primo autore italiano ad essere stato tradotto e pubblicato dalla rivista Lunch Ticket dell’Università di Antioch (Los Angeles) con il racconto “Sei minuti” in Antropometria, con la traduzione di Matilde Colarossi. Cura il seguitissimo blog grafemi.wordpress.com.

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