Diva futura (pubblicato da Indiana) è il penultimo romanzo di Fabio Viola. Penultimo perché a testimonianza di una certa prolificità è in uscita un altro romanzo, I dirimpettai, che si andrà ad aggiungere alle sue altre opere di narrativa e alle traduzioni di alcuni autori molto interessanti come Edmund White e Helen Humphreys. In Diva futura l’autore ci racconta le disavventure poco avventurose di un balordo contemporaneo, anzi, di due balordi contemporanei. Lui italiano in fuga, mediamente colto, che odia l’Italia lazzarona, la super-commedia in cui ci siamo catapultati e auto-intrappolati a furia di ripetere misticamente i tormentoni di Drive In dagli anni ’80; e lei, giapponese, di nome Maki, in cerca di qualcosa che il suo lavoro non può assicurarle. Lui insegna lingue straniere in una scuola giapponese e vuole dimenticare la Penisola, lei si trasforma in Maky Lovely e si dà alle cover in stile porno-manga. Il caso li fa incontrare a scuola e quindi innamorare (ma senza troppo entusiasmo) e la fregola competitiva di Maky Lovely fa sì che la coppia parta per l’Italia. La ragazza (ma nemmeno tanto ragazza) vuole diventare una stellina dei reality show, sente di possedere il gene X, sebbene sia stonata e il suo apprendistato artistico consista nella grossolana imitazione delle mosse sexy di alcune cantanti.

Dannato, dannatissimo Fabio Viola. Con questo libro mi ha di nuovo guardato negli occhi e detto la verità. Con calma. Un po’ alla volta. Con tenerezza, quasi. La verità. Ci è mai infatti servita a qualcosa tutta questa sapienza imparaticcia che esibiamo con quelle pose da intellettuali metropolitani che hanno funestato un’intera generazione di semianalfabeti convinti di saperla lunga? Li sentite o no, quei disperati SOS che il senso della realtà ci lancia da anni dalla rocca in cui si è dovuto rintanare insieme a Long John Silver, capitan Harlock e che so… i Puffi e altri loschi figuri? Dannato, dannatissimo Fabio Viola. Tutta questa grande stronzata che abbiamo chiamato vita anche se molto di rado è stata capace di assicurarci uno stipendio, ma pure una minima serenità di giudizio o dose di coraggio, me la sono ritrovata di fronte ancora una volta, in poco più di cento pagine, nel leggere la storia di un uomo che butta nel cesso il buon senso e di una donna priva di talento e invasata da una cieca ambizione. Una catastrofe troppo infima perché possa spaventarci davvero, ma non per questo meno reale, che mi ha fatto sprofondare all’inferno. Una sensazione disgustosa ed eccitante al tempo stesso, che sentivo di meritare. Sentivo di averci lavorato una vita, per meritarla. Libidine. Doppia libidine. Libidine coi fiocchi.

Commenti a questo post

Articoli simili

12 comments

Leave a Comment