Damon Galgut – La promessa

by Gianluigi Bodi
Damon Galgut

Non ho mai avuto un grande interesse per i premi letterari perché spesso hanno dinamiche che non comprendo fino in fondo o che sento di non apprezzare o sentire come mie. Si suppone che se un libro ha vinto un premio importante quel libro sia da leggere, ma a volte mi capita di rendermi conto che i libri premiati e la mia carriera di lettore hanno preso strade diverse. Damon Galgut ha vinto il Booker Prize 2021 con in libro “La promessa” che in Italia è stato pubblicato da Edizioni E/O con la traduzione di Tiziana Lo Porto e per qualche motivo a cui non so dare un’origine mi è venuta voglia di leggerlo.

Ma, Pa, Astrid, Anton e Amor fanno parte di un nucleo familiare di bianchi sudafricani. A quattro di loro viene dedicato un macrocapitolo del libro e che dà forma alla struttura del libro. “La promessa” inizia con un lutto e con la conoscenza di questo nucleo familiare tutt’altro che perfetto. Il focus, nella prima parte è posato su Ma e su quella che è la promessa che aleggia su tutto il libro fin quasi a farla diventare una maledizione per la famiglia Swart. C’è una casa ai confini della proprietà, Ma vorrebbe che quella casa passasse a Salome, la donna di colore che l’ha aiutata a tirare su i tre figli e che ha mantenuto in ordine la casa. Il fatto che la cosa non è possibile. Quando Ma esprime questa promessa le leggi sull’apartheid sono molto stringenti e chiare, non c’è modo che Salome riceva quella donazione. Poi, di capitolo in capitolo il tempo passa. Dal primo al secondo capitolo c’è un salto temporale di una decina d’annni. L’apartheid è terminato, Mandela è diventato il presidente del Sudafrica, gli Sprinboks vincono il mondiale di Rugby e sembra che il paese si sia unito sotto l’effetto di un perdono generalizzato. Sembra.

I capitoli procedono, la promessa è ancora lì minacciosa, il tempo passa, i lutti si susseguno: incidenti, malattie, omicidi, suicidi; il paese si sfalda, l’economia non regge, il perdono era solo superficiale e iniziano i processi per andare a scovare e giudicare coloro i quali si sono macchiati di atti atroci durante l’aparteheid. Gli Swart invecchiano, muoiono, la loro proprietà viene corrosa lentamente.

Amor è la sorella minore, la sua storia parte da quando, sopra la collinetta vicino a casa, è stata colpita da un fulmine. Da quel momento, per gli altri, Amore è colei che ha qualcosa che non va, soprattutto quando si batte perché la promessa venga mantenuta.

Astrid è invidio ed egocentrica e terribilemente fragile. La sua necessità di bruciare la vita le si ritorce contro in maniera imprevediile; gli anni passano e lei si trova intrappolata.

Anton è perennemente insoddisfatto, un po’ come la sorella Astrid. Convinto di essere in grado di ottenere ciò che vuole dalla propria vita, forse per diritto divino, si trova invecchiato e incastrato in una realtà che lo disgusta. Ha perso tutte le occasioni per fare qualcosa di buono.

Questi sono i tre personaggi su cui, a mio parere, si fonda la bellezza di questo libro. Sì, perché nonostante la premessa sul mio essere collocato lontano dai premi letterari devo dire che la lettura di questo libro di Damon Galgut è stata molto più che piacevole e soddisfacente. Il modo in cui lo scrittore è riuscito a far muovere i personaggi mentre sullo sfondo cambiavano i rapporti di forza e la situazione politica me lo ha fatto apprezzare moltissimo. Come se non bastasse lo sfondo politico, Galgut riesce a mettere sul piatto anche la questione religiosa. Gli scontri tra la famiglia Swart e la sfera religiosa sono molteplici e hanno nature diversa. Una parte dei problemi ha a che fare con la conversione di Ma che torna a professare la fede ebraica dopo averla abbandonata per sposarsi, poi però le cose si complicano anche in virtù del fatto che i rapporti religiosi vengono utilizzati per entrare in possesso di una parte dei terreni della famiglia Swart e hanno una relazione diretta anche con la morte di più di un membro di questa famiglia.

L’ultimo elemento su cui vorrei soffermarmi è un elemento stilistico. Al di là della lingua che mi è piaciuta molto, devo dire che la cosa che più di tutte mi ha fatto vibrare ha a che fare con l’utilizzo della persona narrativa. Il libro è prevalentemente raccontato attraverso la voce di una terza persona onniscente che entra ed esce dai pensieri dei personaggi senza soluzione di continuità, quello che però succede, spesso nell’arco di poche righe, è che la terza persona diventa seconda e prima. L’effetto che nasce da questo continuo scivolamente da una persona all’altra è quello di accentuare ancora di più a profondità dando l’impressione di aggiungere una nuova dimensione al racconto. Il narratore in terza, che pare conoscerne parecchie sulla famiglia Swart ha però sempre un certo ironico distacco; passando in secondo l’ironia diventa più confidenziale, quasi che il narratore si permettesse la libertà di prendere in giro lo Swart di turno, ma quando si arriva alla prima persona l’ironia diventa feroce autoironia, l’anticamera della depressione.

Per concludere, non ho alcun dubbio, “La promessa” di Damon Galgut è un libro da leggere e assaporare pagina dopo pagina. Una lettura ideale con la quale iniziare l’anno.

Damon Galgut: Il romanzo del 2003, The Good Doctor, ha vinto il Commonwealth Writers Prize (per l’Africa) ed è stato selezionato per il Man Booker Prize. Nel 2011 le Edizioni E/O hanno pubblicato In una stanza sconosciuta, selezionato per il Man Booker Prize, e nel 2014 Estate artica. Nel 2013 Galgut è stato inserito nell’American Academy of Arts and Letters. Vive a Città del Capo, in Sudafrica.

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