Home SenzatraduzioniNotizie dall'interno Amico, fammi un italiano. Corretto, grazie!

Amico, fammi un italiano. Corretto, grazie!

by senzaudio

Vi ricordate l’intervista alle organizzatrici di Italiano Corretto? Venerdì e sabato scorsi (15 e 16 aprile) la duegiorni tanto attesa è diventata realtà, tra neologismi, frasi fatte e gli immancabili anglicismi.

Vado a un convegno sull’Italiano: c’è una relatrice dell’Accademia della Crusca, un linguista, il compilatore di un dizionario, un laboratorio sulla punteggiatura… Sai che noia! In realtà, conoscendo STL e Doppioverso, ero preparata a incontri un po’ sui generis, con relatori seri e competenti ma poco “ingessati”, pronti a interrogarsi sullo stato della nostra lingua senza spocchia o preconcetti. E poi venerdì sera c’era lo spettacolo teatrale Un anno lercio. E dove c’è Lercio, c’è gioia!
E così, tra una riflessione sugli #hashtag, un video in doppiagese e presagi sulla morte di po’ (il cui accento resuscita in qual’è), scopro che la nostra lingua non se la passa poi così male.
E i congiuntivi che spariscono? E il che polivalente? E l’invasione dell’inglese? E il “c’è lo” dilagante sui social? I social, appunto: sono loro i primi responsabili di questo mutamento. Perché la lingua che usiamo su Facebook, pur essendo scritta, ripropone i meccanismi tipici della parlata orale (come ci spiegano le Doppioverso nel loro intervento) e tende a un’inevitabile semplificazione, dovuta in primis all’immediatezza della comunicazione.
Inoltre, i social danno voce a categorie di parlanti che prima, terminati gli studi, tendevano a esprimersi quasi esclusivamente in forma orale, riservando la scrittura solo a occasioni importanti o alla comunicazione privata e, pertanto, libera dal controllo di terzi (sulla lista della spesa possiamo scrivere come ci pare). Questi semianalfabeti, o analfabeti funzionali, si trovano improvvisamente a (ri)utilizzare la scrittura come forma di comunicazione quotidiana, con le inevitabili storpiature che ne conseguono e che, secondo Andrea De Benedetti, prima o poi finiranno con l’essere accettate anche da grammatiche e dizionari.
D’altra parte, ogni lingua si evolve grazie a storpiature e contaminazioni straniere, vanificando ogni tentativo di conservarne la “purezza”. Come quello intrapreso a suo tempo da Paolo Monelli, che in epoca fascista si scaglia contro i forestierismi nel suo Barbaro Dominio di cui Leonardo Marcello Pignataro ci ha letto alcuni brani che a noi posteri sembrano esilaranti, nonostante il serio intento dell’autore (chi si scandalizza, oggi, all’uso del termine “esperto”, bandito da Monelli perché di origine straniera?). E viene da chiedersi se un giorno, con buona pace dei grammarnazi di oggi, qualcuno riderà dei termini “esagerati” che Luca Mastrantonio ha raccolto in Pazzesco! Insomma, la lingua evolve ed è inutile gridare all’imbarbarimento.
E allora? Ognuno scrive come vuole? Naturalmente no! O meglio, bisogna distinguere tra i contesti in cui usiamo l’italiano per comunicare con gli amici (scrivereste mai “se l’avessi saputo, sarei venuto” in una chat su Whatsapp?, chiede Vera Gheno) e quelli in cui lo usiamo per lavoro, dove è bene salvaguardare la norma (dopo tante le pippe sul Fattore S, vi pare che ora getto tutto alle ortiche?), evitando di cadere nell’ipercorrettismo e in una lingua ormai stantia. Come ci ha dimostrato Giulio Mozzi nel suo intervento, l’infrazione della regola serve a creare di uno stile, beninteso che chi infrange la regola deve prima conoscerla.
Un’altra importante distinzione, a mio parere, va fatta tra l’errore grammaticale (commesso per ignoranza o distrazione) che strappa un sorriso e la scorrettezza sintattica che ostacola la comunicazione; tra il refuso e la scarsa capacità di argomentazione, spesso rimpiazzata dall’arroganza. Insomma, non demonizziamo chi commette qualche errore ma ricordiamoci che è nel nostro interesse saper padroneggiare al meglio l’italiano: chi vive nella convinzione che la grammatica non serva a niente, uscirà perdente davanti a un contratto di cui non comprende le cause o a un’accusa a cui non sa controbattere.
Perché la lingua resta innanzitutto uno strumento di potere. Possiamo difenderne un’artificiale purezza o salvaguardarla dalla semplificazione generalista, a cui fa da contraltare un linguaggio specialistico sempre più criptico, pieno di acronimi e anglismi (basti pensare all’economia); la decisione spetta a noi, e con “noi” non intendo solo chi lavora con l’italiano, ma l’intera comunità di parlanti perché, parafrasando un vecchio slogan, La lingua è di chi la parla.

 

P.S.:La foto in copertina è stata realizzata appositamente per Senzaudio da Silvia Ghiara, che ringraziamo infinitamente!

Commenti a questo post

Articoli simili

9 comments

Amico, fammi un Italiano. Corretto, grazie! | Italiano Corretto 22 Aprile 2016 - 9:16

[…] Leggi l’articolo. […]

Reply
Lidia Capone 20 Maggio 2016 - 9:35

E se l’italiano te lo contamina il maledetto correttore Android? Spesso è lui (e il tempo tiranno) che detta legge sull’ortografia della lingua social! 🙂

Reply

Leave a Comment