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Intervista a Enrico Pandiani

by senzaudio

Enrico Pandiani è un uomo elegante, dai modi gentili, in poche parole un gentiluomo d’altri tempi. Parlare con lui significa sempre imparare qualcosa, perché ha sempre da consigliarti un’interessante lettura. Ha scritto la saga “Les italiens”, i cui protagonisti sono una squadra di poliziotti parigini e il Commissario Mordenti: Les Italiens è del 2009, Troppo Piombo del 2010 e Lezioni di tenebra del 2011. I primi tre episodi sono stati pubblicati per Instar Libri, mentre Pessime scuse per un massacro, quarto capitolo della saga, è uscito per Rizzoli nel 2012. Poi La donna di troppo (Rizzoli, 2013) e quest’anno è uscito, sempre con Rizzoli, il suo ultimo romanzo Più sporco della neve. Siamo in un bar torinese e stiamo sorseggiando un cappuccino anche perché è troppo presto per bere altro. E io inizio a fargli alcune domande sul suo ultimo libro ma non solo, anche altre curiosità sul suo modo di scrivere e lui mi dà interessanti risposte e parte della nostra conversazione ve la propongo sotto forma di intervista.
-Partiamo dalla protagonista di “Più sporco della neve”, tuo ultimo libro edito da Rizzoli. Zara è una donna reale, estremamente umana, diametralmente opposta agli stereotipi della supereroina con abiti aderenti di pelle e katane incrociate sulle spalle. Come hai lavorato per renderla così vera e quali sono state le difficoltà che hai incontrato nella creazione del personaggio?
Sono partito dal fatto che Zara non doveva essere un tipo di donna dal quale io sono particolarmente attratto e, tantomeno, la mia donna ideale. Questo ha fatto si che io potessi vedere il personaggio con un occhio quasi neutro. Dico “quasi” perché in effetti non è possibile un’assenza totale di empatia con il proprio personaggio. Fin dall’inizio, la mia intenzione era quella di costruire una figura credibile, che proiettasse attorno a sé in tutto ciò che fa, dice e pensa, una sensazione di realtà. Per far questo ho attinto al mio immaginario femminile, alla mia esperienza, a tutto ciò che le donne mi hanno comunicato nella mia esistenza. Io delle donne ho un’opinione altissima e volevo che Zara la rappresentasse. Mi avvalgo anche, com’è pensabile, della collaborazione di amiche che leggono ciò che scrivo e mi danno consigli. Le vere difficoltà si presentano, per esempio, nelle scene più intime, quelle che Zara ha con il suo compagno François. Io so ciò che prova un uomo, facendo l’amore, le sensazioni di una donna me le devo immaginare al punto di arrivare a sentirle. È la bellezza della scrittura.
-Come mai hai scelto la narrazione in terza persona?
Ho scritto quattro romanzi in prima persona, la serie del commissario Mordenti e de les italiens. Quando è stato il momento di raccontare le storie di Zara, ho voluto che tutto quanto, lo stile, le sensazioni e, in primis, la narrazione, fossero del tutto differenti da quelli de les italiens. I romanzi di Mordenti sono in prima persona, perché il suo modo di parlare è ciò che lo definisce e mi permette molta ironia e molto humour. Nel caso di Zara, la terza persona aiuta molto nella costruzione della storia. Con la terza persona è possibile quello che io chiamo il montaggio, ossia poter passare con libertà da una personaggio all’altro, permettendo al lettore di seguire più situazioni contemporaneamente. Usato bene, il montaggio aiuta ad alzare molto la tensione e nei romanzi di Zara, la tensione è tutto.
-La trama è ricca di colpi di scena e trovate geniali che riescono a mantenere sempre alto il livello di tensione, come la costruisci? La sviluppi durante la scrittura oppure hai tutto ben chiaro fin dall’inizio?
Mentre nei romanzi de les italiens parto da un’idea iniziale e poi invento la storia man mano che la scrivo, con i romanzi di Zara questo non è possibile, proprio perché la tensione la costruisci dosando ciò che di volta in volta fai sapere al lettore. Quindi, è necessario un lavoro a tavolino nel quale costruisco un’ossatura del romanzo, decidendo a priori come sarà frammentata la storia e valutando in che modo posso creare ansia nel lettore. Poter interrompere una scena in un momento topico, lasciando chi legge nell’incertezza, o riuscire a far percepire che la storia sta andando verso un momento molto drammatico, del quale la protagonista non è a conoscenza, sono strumenti fantastici, per il narratore, ma che vanno studiati molto bene.
-Se passiamo a un secondo livello di lettura, abbandonando per un attimo la storia principale, si trattano tematiche complesse come le relazioni amorose tra culture diverse, che devono superare lo scoglio dei pregiudizi. Era tua intenzione far riflettere sul tema in maniera indiretta oppure era prettamente funzionale alla trama?
Gli argomenti che decido di affrontare nei miei libri sono, in genere, tematiche che mi stanno molto a cuore e che come privato cittadino mi fanno sentire frustrato e impotente di fronte a chi ha atteggiamenti che non mi piacciono o che mi fanno paura. Parlandone in un mio romanzo mi illudo che il mio discorso possa arrivare a coloro che lo leggeranno e che queste persone siano indotte a riflettere e, magari, a cambiare la propria opinione in proposito. Il tema del mélange che si viene a creare in una società nella quale c’è un afflusso di persone che vengono da paesi e culture diverse, mi attrae e mi interessa molto. Non è casuale il fatto che il compagno di Zara, François, sia un nero. Questo mi permette di affrontare questo tipo di argomento ogni volta che qualcosa di esterno mi spinge a farlo. La differenza tra i romanzi di Mordenti e quelli di Zara sta forse nelle tematiche più serie e drammatiche che quest’ultima deve affrontare, e che sono le tematiche tipiche del momento che stiamo vivendo.
-Hai un passato nel mondo dei fumetti, quanto sono importanti nel tuo modo attuale di scrivere?
Non ho idea di quanto l’aver scritto e disegnato storie a fumetti possa aver influito sul mio modo di scrivere. Il fumetto ha più similitudini con il cinema che con la narrativa. Quando si scrive per un fumetto ciò che ne viene fuori è una sorta di sceneggiatura fatta di dialoghi e poco d’altro, proprio perché tutto il resto il lettore lo comprende attraverso i disegni. È possibile, tuttavia, che l’aver fatto fumetti mi abbia aiutato nell’essere sintetico, soprattutto nelle descrizioni dei luoghi e dei personaggi, dove la sintesi è molto importante. E forse, perché no?, anche nei dialoghi.
-Che importanza ha per te Torino? Non solo dal punta di vista narrativo ma anche personale.
Torino è una città che può ancora sorprendere chi la abita da sessant’anni. Ci sono momenti in cui ti rivela la propria bellezza come se lo facesse solamente per te, quasi fosse una bella donna che ti ricorda di esistere e di esserti al fianco. Io mi ci trovo bene, è stimolante. Negli ultimi quarant’anni Torino è molto cambiata, non è più la grigia città industriale di una volta. L’immigrazione, dal meridione, prima, e dai paesi extracomunitari, poi, hanno portato sapori, profumi e colori che prima non c’erano. La gente stessa è cambiata, si è aperta dando vita a un luogo diverso, dove succedono un mucchio di cose e dove, tutto sommato, si vive ancora bene. Letterariamente, poi, Torino è città che nulla ha a che invidiare a tante altre città europee. Descriverla e raccontarle è un piacere.
-Domanda di rito, progetti futuri?
In primavera uscirà il quinto romanzo del commissario Mordenti. Les italiens tornano in pista e sono ancora più guasconi del solito. È una storia à bout de souffle, su e giù per la Francia, con un inizio parigino al fulmicotone. Detto questo, c’è anche in atto un tentativo in atto di portare les italiens sul piccolo schermo che potrebbe rivelarsi una vera sorpresa. Per il resto, ho in mente di scrivere una nuova storia di Zara e anche qualche idea per un romanzo non noir che prima o poi dovrò affrontare. E questo è quanto.

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