Ho letto tanti articoli sull’acuirsi della crisi arabo-palestinesi. In particolare me ne sono capitati sott’occhio molti che esortavano il lettore a non prendere posizione. A rimanere neutrale. A non schierarsi. Identificando questa non presa di posizione come l’unica via per uscire dalla pomposa retorica e giungere ad una soluzione concreta. D’altronde, se pure è vero che il governo israeliano sta compiendo un eccesso di difesa, dall’altra parte va anche ammesso che esso ha a che fare con Hamas. Un’organizzazione terroristica.Autrice di biechi e spietati attentati. Le cose, dunque, dovrebbero bilanciarsi. O quanto meno spingerci a rimanere non schierati. A limitarci ad un placido “fermate la guerra” scevro di riferimenti morali e etici. Almeno stando a quanto dicono questi valenti, e lo dico senza ironia, giornalisti. Tuttavia mi permetto di far notare come, a mio assolutamente sindacabile giudizio, tale visione manchi di profondità. Perché se da un lato nessuno ha intenzione di solidarizzare con Hamas, né con nessuno degli estremisti islamici che auspicano la scomparsa di Israele, d’altro canto non ci si può non chiedere da quali prodromi tale situazione sorga. Nè si può essere tanto ingenui e superficiali da credere che da sempre Tel Aviv debba interloquire con delle forze fondamentaliste e fautrici di azioni violente. Al contrario. Per anni l’OLP ha tentato un dialogo, auspicando una risoluzione pacifica del conflitto, arrivando, persino al riconoscimento dello Stato di Israele. Ma nulla. Il governo israelita non si è mai mosso, ed ha sempre perpetrato la sua assurda politica di intransigenza, supportato, come già scritto nello scorso articolo, dalla connivenza della comunità internazionale e dei media. Esacerbando ed inasprendo la situazione. Spingendo, in sintesi, la popolazione tra le braccia dei terroristi. Gli unici in grado di rivendicare e di incarnare i sentimenti del popolo palestinese. Deluso e lacerato. Sfiduciato. Ormai sordo alle rassicurazioni internazionali e stufo dei continui ed inconcludenti trattati di pace. Così nel 2006 Hamas ha preso, democraticamente va detto, il controllo. Ciò nonostante, seppur tra attacchi e raid aerei, i contatti sono continuati. Ma sempre interrotti, bruscamente, nel momento cruciale. Non sempre per colpa di Israele. Resta però quella linea, quell’intransigenza di fondo. Quel nazionalismo, che ostacola qualsiasi tentativo di pacificazione e che alimenta l’odio. Quella linea per cui Israele si vuole riconosciuto come stato ebreo, e non come stato laico, e per la quale appoggia i coloni che occupano, illegittimamente, i territori palestinesi. Condotta non condivisa da tanti israeliani che denunciano gli abusi commessi dal governo e protestano a favore della Palestina. Ma anche a questi Tel Aviv non sembra prestare ascolto. E ora che si è sull’orlo della guerra e gli Stati Uniti, appoggiati dalla quasi totalità delle potenze mondiali, seguitano ad appoggiare l’offensiva del IDF, tutto si tinge sempre di più di assurdo e si stagliano all’orizzonte scenari sempre più terrificanti e spietati, che fanno accapponare la pelle. Come l’idea prospettata da Manlio Dimucci sul Manifesto, secondo cui a spingere Israele ad attaccare selvaggiamente Gaza non sarebbero stati né i tre ragazzi morti né i razzi scagliati, ma i ricchi giacimenti di gas naturali presenti a 30 km dalla costa nelle acque territoriali palestinesi e valutati oltre i 30 miliardi di dollari. Un mero sospetto, che, però, non fa che alimentare l’orrore per un conflitto inutile e senza senso, in cui, è vero, non esistono né santi né eroi, ma in cui a pagare il prezzo più alto è sempre il popolo palestinese. Per questo non mi sento di rimanere neutrale. E mi sento di gridare al genocidio di fronte alle barbarie israeliane. Non per fare della retorica da quattro soldi. No, tutt’altro. Ripudio Hamas almeno tanto quanto ripudio la linea dura israeliana. Ma ho ben chiaro da che parte penda la bilancia delle responsabilità. Intanto le vittime palestinesi sono oltre 718. Continuate pure a restare neutrali se ci riuscite.
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Luglio 2014
Ora che siete adulti, che avete una famiglia, che portate i bambini a scuola e il cane a passeggio, ora che fate i conti per arrivare a fine mese, che litigate con il vostro capo, che vi rincoglionite sulla play, che vi anestetizzate con la Domenica Sportiva. Ora che la vita ha preso parte della vostra anima e l’ha sfasciata, ora, quel pensiero non lo fate più, oppure, lo fate, di nascosto, intenso e breve come una stella cometa che si abbatte sulla terra. Un solo flash di speranza e poi il buio.
Ora non lo dite più: mollto tutto e apro un chiosco in una spiaggia nei Caraibi.
Questo breve libro scritto da Antonio Benforte per i tipi delle edizioni online 40K quel pensiero lì ve lo fa tornare a galla. Antonio (perdonate quella che può sembrare eccessiva confidenza, ma lui è un amico, come lo possono essere le persone che frequenti online e la fase del “lei” l’abbiamo già sorpassata) ha raccolto e messo assieme alcune delle favole positive e benauguranti di chi ha deciso, ad un certo punto della propria vita, che come stavano andando le cose non andava affatto bene. Queste persone, di nazionalità diversa, di background diversi, con aspettative frantumante dal tram tram della vita quotidiana, ad un certo punto hanno scelto di fare un salto.
Alcuni direbbero un salto nel vuoto, ma non sarebbe corretto perché ognuna di queste persone ha programmato la propria decrescita con consapevolezza. Perché evidentemente, mollare tutto non implica necessariamente essere incoscienti.
Antonio vi fa vedere che cambiare, se lo volete, è possibile. C’è chi l’ha fatto e se qualcuno l’ha già fatto perché non potreste essere voi i prossimi?
Il libro di Benforte è breve, è un saggio veloce che leggerete con trasporto e che mi presenterà alcuni personaggi che, senza volerlo, un po’ invidierete. La mia reazione iniziale, è stata infatti quella di riportare alla memoria le lunghe chiacchierate da ventenne con il mio migliore amico, chiacchierate in cui alla fine si finiva sempre per sognare una spiaggia dorata, una po’ di palme, un mare calmo ed invitante e il nostro chiosco aperto a tutti. Poi però sono tornato in me. Essendo un amante delle teorie sugli universi paralleli, mi auguro che una versione di me ora se la stia spassando in quella spiaggia ideale. Il “me” che sta scrivendo questo articolo potrebbe vivere meglio, ma ha degli elementi che sono presenti nella propria vita che non scambierebbe con nessuna decrescita. Magari serve solo un aggiustatina e “Mollo tutto e cambio vita?” potrebbe essere un buon modo per iniziare.
Questo titolo di Antonio Benforte è, come detto, edito da 40K che è una casa editrice rigorosamente online. In particolare, “Mollo tutto e cambio vita?” rientra nella collana Econote.
Econote è il nome di un sito, a cui collabora Benforte, che si occupa di tematiche legate all’ambiente. Se avete l’animo green Econote è indubbiamente il sito che fa per voi.
Il libro viene via per 1 euro e 99. Li ho spesi e non mi sono pentito.
Paratesto. Le poltrone bérgere in stile finto Luigi XVI che campeggiano in copertina in primo piano davanti a una parete tapezzata da una carta da parati con motivi verticali seriali, richiamano da una parte suggestioni gozzaniane (“le buone cose di pessimo gusto”) che non ci vietano di immaginare una signorina Felicita annoiatamente accomodata, e fanno pensare anche un po’ alla “Classe morta” di Kantor, in cui l’assenza si rende molto più inquietantemente pesante di qualsiasi presenza. Le tre madri (e così chiudiamo un cerchio di rimandi impossibile giungendo pure dalle parti di Argento) non ci sono, ma ci sono. Eccome se ci sono! Poi ok, la scelta cromatica dell’arancio a prefigurare il momento crepuscolare dell’esistenza.
Testo. Il ribaltamento linguistico (un sultanato femmineo), quasi un sabotaggio se si tiene presente la cultura fortemente androcentrica di riferimento del termine, che si traduce poi in un autentico capovolgimento concettuale stabilisce a partire dal titolo del nuovo romanzo di Marilù Oliva la pervicacia dell’autrice nel rimanere legata alle narrazioni di un universo ancora una volta femminile, dopo le vicende trilogiche della Guerrera in “¡Tu la pagaras!”, “Mala suerte” e “Fuego” e la silloge “Nessuna più” (antologia di racconti contro il femminicidio) in veste di curatrice. Un vincolo senz’altro forte, ombelicale, necessario nel caso della Oliva e del suo milieu letterario, un canale privilegiato attraverso il quale comunicare un groviglio di sensazioni interiori, dipanarlo, farne letteratura.
Le Sultane descrive l’ineluttabilità della catabasi di tre vecchiette bolognesi, Wilma, Mafalda e Nunzia, incamminatesi sullo scosceso viale del tramonto ben poco inclini alla discesa del crinale, raccontata con i toni agrodolci ora della commedia, ora del dramma in una miscela alchemicamente calibrata dei registri espressivi. L’utilizzo stesso della contaminazione di generi, laddove vi si infilano come punteruoli acuminati sprazzi di noir e di thriller tendente finanche all’horror, produce un effetto di totale sbalestramento nella lettura e questa è solo una delle cifre meno sorprendenti dello stile dell’autrice che tuttavia contribuisce a generare atmosfere malsane funambolicamente a metà strada tra il grottesco e il melodramma attraverso le quali si intrecciano immaginari altri, letterari e cinematografici insieme (come un sedimento giacente sotto strati di memoria collettiva, risputato in superficie), che vanno da “Le due zittelle” di Landolfi a “Arsenico e vecchi merletti” di Capra, a “Delicatessen” di Jeunet e Caro, ma soprattutto al “Gran Bollito” di Mauro Bolognini splendidamente ridisegnato sulla figura tragicomica, tenera e terribile, della Cianciulli, la famigerata saponificatrice di Correggio.
In realtà, ed è questo il grande merito del romanzo, il gioco dei generi che si rincorrono per tutto il libro funge da pretesto per una prolungata meditazione sul tempo e sulla solitudine. Il tempo che era e non è più, il tempo dello sfavillare ingenuo e inconsapevole della giovinezza (la güpiere di Wilma) trasfigurato dall’inerte liquidità del tempo presente, fatto di giorni sempre uguali scanditi dalle amare liturgie del quotidiano, il tempo raggrumato nell’intonaco degli interni degli androni nelle abitazioni condominiali della Bologna vecchia che sta per essere scrostato via dalla vita e dagli eventi. Il tempo di un passato révenant e di un dolore ad esso legato che torna a far visita implacabilmente sotto forma di caro estinto (Juri, il figlio di Wilma) e che ognuna delle tre settantenni tenta di sublimare come può, di accettare con serena disperazione: il rifugio nella materialità (la “roba” di verghiana memoria) e dunque nel pragmatismo e nella sicurezza degli oggetti e del denaro di Mafalda, l’abbandonarsi all’ipotesi di un improbabile fantasma erotico da parte di Nunzia.
Tempo fondamentalmente di un dolore, enorme e inalienato, quello dei rimpianti, delle incomprensioni e dell’incomunicabilità esistenti nel rapporto tra genitori e figli, urlato soprattutto nelle pieghe meno visibili di tale rapporto e nel susseguirsi lacerante dei non detti. Dolore di un tempo che scorre al ritmo dell’inesorabilità e che neppure queste tre Parche, ipotiposi di un sentimento caduco del tempo, riescono a far filare come desidererebbero, pur se per una manciata di giorni i destini di qualcuno sortiscono attraverso le loro mani. Questo dolore latente ma presentificato e feroce come lama di coltello ad ogni sfogliar di pagina del romanzo, e dal quale la scrittura “amniotica” di Marilù Oliva, con le sue empatiche alternanze di prima e terza persona, con la tenerezza arrischiata degli erlebte reden nella prossimità alle tre amate vecchine, vorrebbe allo stesso tempo preservarci. Perché bisogna immaginare Sisifo felice.
Coordinate. Elliot Edizioni, Roma.
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Carta Carbone – Julio Cortázar
written by Gianluigi Bodi
Paratesto:
Quella macchina da scrivere se la deve essere portata in giro anche quando, assieme alla Dunlop, si era inventato autonauta della cosmostrada. Una compagna fedele, un mezzo per fare arrivare al mondo le sue parole e il suo essere. Dovremmo rendere grazie a quella macchina da scrivere.
Testo:
Quando un lettore ama uno scrittore, l’amore ad un certo punto straripa dai bordi del contenitore e finisce sul pavimento. Ce n’è talmente tanto da lasciarti sorpreso. Ti sorprendi, poi, perché inizi a pensare, non solo alle opere che questo scrittore o questa scrittrice hanno scritto, ma vai ancora più in là cercando di immaginarti come trascorre la vita di questa persona. Come si alza la mattina, se è uno di quelli che parte a mille oppure un diesel che ha bisogno di un po’ di tempo per carburare. Ti chiedi se è mancino, se beve Whiskey, se parla mai di calcio, se usa le scarpe da ginnastica. E poi, ammettilo, ti chiedi se le opere che scrive gli assomigliano o meno.
Nel caso di Cortázar, il mio amore letterario in questione, fortunatamente Sur Edizioni mi viene in aiuto pubblicando tre volumi di epistole. Il primo dei quali, uscito nel 2013 e dal nome evocativo di “Carta Carbone – Lettere ad amici scrittori”.
Ed ecco che, attraverso le parole di Cortázar, possiamo esplorare i densi rapporti con gli altri scrittori amici. Scopriamo lo scrittore attraverso le interazioni che l’essere umano ha con i propri colleghi/amici. E poi scopriamo l’uomo, un personaggio meraviglioso, pieno di gioia di vivere, di senso dell’umorismo, di fantasia. Ed è così che te lo immagini quando leggi Rayela, Il Bestiario o Storie di Cronopios e Famas, è così che ti auguri che sia, perché quando leggi i suoi racconti, alla fine, dopo aver chiuso il libro, ti rammarichi di non averlo potuto conoscere di persona, di non averci parlato mai. Ti disperi perché ci sono cose che avresti voluto chiedergli, domande, curiosità, vino da bere, cibo da condividere. Purtroppo lui ha avuto la malsana idea di morire, ma almeno aveva la buona abitudine di scrivere lettere, lettere piene di senso e significative.
Attraverso queste lettere abbiamo la possibilità di avvicinarci un po’ di più a lui, anche se il vino dovremo bercelo da soli e il cibo condividerlo, magari, con chi ha reso possibile la pubblicazione di questa raccolta.
Coordinate:
Sur edizioni, oltre ad essere specializzata in letteratura sudamericana, è anche la casa editrice più colorata della vostra libreria di fiducia. Il caledoscopio di colori che nasce dal veder accostati tutti i loro titoli ti fa venire voglia di tenere a portata di mano uno scaffale della vostra libreria di casa per mettere in fila, una dopo l’altra, tutte le loro uscite. Se siete appassionati di letteratura latinoamericana non potete non fare un salto sul loro sito e leggere con frequenza il loro blog.
Julio Cortázar. Niente. Solo, Julio Cortázar.
Giulia Zavagna ha selezionato e tradotto le lettere di questo volume. Selezionare non è affatto un lavoro facile. Si rischia di dare una versione parziale dello scrittore, privilegiare alcuni aspetti per tenerne in ombra altri. Il corpus dell’epistolario è enorme ed un lavoro di selezione era necessario. Detto questo, ho avuto il piacere, leggendo “Carta Carbone” di essere di fronte ad un personaggio multiforme, ma coerente e di questo, credo vada dato merito anche a Giulia Zavagna.
Per quello che riguarda la traduzione, le ho già fatto i complimenti altrove, per cui non mi dilungherò oltre.
C’è bisogno di tenerezza nel mondo. C’è bisogno di dare terezza ai vostri figli, perché non ne avranno mai abbastanza, perché ad un certo punto della loro vita ne avranno nostalgia. E voi con loro.
“Melaviglia – Il sogno della bambina talpa” assolve meravigliosamente, melavigliosamente a questo compito.
E allora, rimboccategli le coperte e prendete dal comodino questa breve fiaba, abbassate le luci e mettetevi comodi. Raccontategli della piccola bambina-talpa, che un giorno si prende un raffreddore. Raccontategli della mamma talpa, sempre al suo fianco, del dottor Cornacchia e il suo sigaro e raccontategli soprattutto del sogno della bambina talpa, quello di scavare nelle nuvole.
Sotto quelle piccole palpebre che si muovono impercettibilmente vostro figlio, vostra figlia, hanno già iniziato a far visita al mondo dei sogni e magari hanno incontrato già la bambina talpa.
Una morale? Quando leggiamo le fiabe perché cerchiamo sempre la morale? Io, ad esempio una morale qui l’ho trovata senza cercarla, è venuta da sola, ma non nella storia in se stessa, ma nel fatto che la storia è nata, è stata scritta.
“Melaviglia” è l’opera della collaborazione tra uno scrittore ipovedente, Stefano Miani, e un altro scrittore, Valerio Nardoni. Il risultato è poi stato magistralmente immerso in un mare di colore liquido con le illustrazioni di Sophie Brunner, artista svizzera miope che disegna senza occhiali.
E la morale è che chiunque può fare. Chiunque può essere creativo. E badate, nell’affermazione precedente non ci sarebbe nemmeno un giudizio di merito. Nel senso che non bisogna essere ipocriti e gridare al capolavoro perché abbiamo sulla scena un artista con un handicap visivo. No, anche Miani avrebbe, come tutti, il privilegio di provare e fallire, provare e avere successo.
Poi, si da il caso che “Melaviglia” sia proprio una fiaba dolce e tenera e che le immagini oniriche di Sophie Brunner che l’accompagnano ti aiutino ad entrare nel mondo squisito della piccola talpina che non ha smesso di sognare.
Valigie Rosse è un progetto editoriale indipendente e totalmente no profit con l’unico scopo quello di promuovere la diffusione del libro. Inizialmente Valigie Rosse era un premio di poesia, una collezione di libri fondata nel 2010 nell’ambito delle attività del Premio musicale Piero Ciampi città di Livorno.
“Melaviglia – Il sogno della bambina talpa” esce nella collana Beauty Case.
“Melaviglia – Il sogno della bambina talpa” esce nella collana Beauty Case.
Ogni stagione ha la sua rappresentazione attraverso cui prende forma negli occhi di chi l’aspetta intrepido, nei quadri che vigilano pigri sulle case di campagna. La primavera ha un fiore, l’autunno una caduca foglia, tutto a ricordarci l’ineffabile ciclicità degli eventi e la paradossale meraviglia che ne accoglie la pur nota venuta.
L’estate ha la sabbia del mare sotto i piedi veloci, il nettare dei frutti misto al profumo di salsedine, la malinconica sensazione che non ci sia tempo migliore all’infuori di quello che si sta vivendo, a patto che questo stia per finire.
L’estate, come stagione del cuore, ha i colori di una foto di Harry Gruyaert, bella e stanca sotto un timido sole, pronta a cedere il passo ad un nuovo vecchio stupore.
Lo scherzo è bello quando dura poco. Parto da questo famoso detto per commentare ancora una volta, purtroppo, l’ultima moda dell’uomo, ormai divenuto esempio di sfruttamento per le varie case di moda. Attenzione, quando parlo di sfruttamento lo faccio in maniera ironica, dunque evitate moralismi, perché non servono. Detto questo, a mio modo di vedere una precisazione molto importante, vi presento i “meggings”. No, non è il classico gruppo americano che si esibisce con canzoncine rock capaci di far alzare vari boccali di birra di tutti i tipi, ma un nuovo pantalone che, in questi mesi, sta avendo enorme successo nei mercati asiatici e non solo. Avete presente i “leggings”? Si, quelli che vengono indossati dalle donne, che mettono in evidenza le curve e tutto quello che ne consegue? Bene, adesso, sostituite il corpo femminile, con quello maschile e avrete i “meggings”.
Il capo, molto apprezzato dalle star di tutti il globo, è usato anche da gente del calibro come Lenny Kravitz, Justin Bieber, mica il pensionato che passa queste giornate estive su una panchina sverniciata in attesa che accada qualcosa. Ce ne sono di tutti i tipi: colorati, a pois, argento, oro, incenso (scherzo), di pelle e tanto altro. Negli Stati Uniti, addirittura, la nota azienda “Meggings Man Clothing” di Chicago, sta facendo affari d’oro. Oscar Wilde diceva “La moda è quello che uno indossa. Fuori moda è quello che indossano gli altri”. Come dargli torto?
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La quarta persona più importante – Francesco Franceschini
written by Gianluigi Bodi
Paratesto:
Dovrebbero essere scarpe da festa, ma le apparenze, anzi, le convenzioni spesso ingannano perché ci vengono imposte. Per cui, quando Mirka vede delle scarpe bicolori pensa subito ai suoi genitori che si sono suicidati. A me, personalmente vien voglia di ballare sulle note di qualche pezzo Jazz, ballare attraverso le pagine di questo libro e sorridere alla vita anche perché non sai mai il finale che ti capita.
Testo:
Nessuno dei personaggi di questo libro è banalmente se stesso. Mirka, Ludo, il professore, Vanessa…tutti sono se stessi in modo meravigliosamente atipico. Perfino Dio, che dovrebbe essere vecchio e con la barba, lo trovate tutto muscoloso a fare il tatuatore.
Andiamo per gradi.
Mirka è una quindicenne con il peso del mondo sulle spalle. Il padre si è avvolto in un tappeto e gettato giù da un palazzo. La madre si è fritta il cervello con un phon dopo poco. Al funerale della madre lo zio Ludovico detto Ludo decide di portasela via. Ecco che inizia una specie di Road Trip impreziosito da un evento epocale. La santa sede ci fa sapere che Dio è sbarcato sulla terra. Dio esiste ed è a colloquio con il santo padre. Basta con i dettagli sulla trama. Anche se vi posso anticipare che alcuni di essi sono davvero particolari.
La forza del libro è quella di raccontare una fiaba dolce amara di una ragazzina indifesa che, nonostante abbia perso i genitori cerca ancora di guardare al prossimo con apertura. Prova in tutti modi a fidarsi. Mirka è un’adolescente sveglia, con la risposta pronta, e che, durante lo svolgimento del libro non si è fatta buttare a terra dalla vita e che avrebbe un paio di domande da fare a Dio, tanto per capire come c’è finita lì.
Anche lo zio Ludo è un puro, un bambinone con un certo successo con le donne che si riempie le tasche di monetine per evitare di essere trascinato via dal vento.
“La quarta persona più importante” è un libro che si legge con un sorriso sulle labbra, un sorriso tenero, un sorriso che in qualche modo spinge Mirka ad arrivare a raggiungere la sua meta. Anche se la meta non è dolce come si aspettava, anche se forse, una meta nemmeno c’è, ce l’eravamo solo immaginata tutti, l’avevamo solo sperata. Nonostate tutto, fino alla fine, ci troviamo a parteggiare per lei, a sperare che nulla di brutto le capiti più perché ha già sofferto abbastanza.
Purtroppo la vita non è quella che vediamo rappresentata nei film, non c’è sempre il bacio finale a suggellare il lieto fine e questo libro sembra prendere le distanze dai fiumi di melassa a cui siamo tristemente abituati.
Il finale di “La quarta persona più importante”, oltre a dirci quali sono le altre tre persone (lo so, me lo volevate chiedere) è probabilmente una delle cose migliori di tutto il libro e potrete assaporarlo appieno solo se sarete riusciti a far diventare Mirka una vostra compagna di viaggio.
Coordinate:
VerbaVolant è una piccola realtà con enorme personalità situata a Siracusa. Sul loro sito, sbirciano qua e la, vi troverete di fronte ad un’offerta editoriale ben strutturata che, vicino alla narrativa contemporanea e quella di riscoperta di alcuni classici moderni propone libri sul territorio, illustrazioni, libri per bambini e libri da parati (di quest ultima specie parleremo diffusamente altrove). “La quarta persona più importante” è un libro compatto e solido, l’ho praticamente sventrato leggendolo ed è sempre lì a mostrare i muscoli. L’unico appunto che posso fare è quello di un carattere di stampa leggermente piccolo, ma qui subentrano questioni legate al numero di pagine e ai costi di pubblicazione nei quali non voglio addentrarmi.
Questo non sarà di sicuro l’unico libro di VerbaVolant che recensieremo su Senzaudio.
Non conosco e non ho rapporti di parentela con l’autore. Per cui, come di consueto, lascio che sia la casa editrice a racconarlo. In questo caso però, anche loro hanno scritto poco, cosa che mi fa pensare che lo stesso Franceschini non abbia poi tanta voglia che si sappia in giro troppo sul suo conto.
Meglio tardi che male, si potrebbe dire, nel caso di Francesco Franceschini, classe 1967, arrivato al suo primo romanzo dopo aver scritto decine di racconti e aver vinto qualche premio letterario in giro per l’Italia. È felice di aver intervistato, nella sua carriera radiofonica (www.radiotna.it) gente del calibro di Giovanni Allevi, Avion Travel, Petra Magoni, Claudio Villa (non il cantante, il disegnatore di Tex Willer), Tullio Solenghi, Alessandro Bergonzoni, Marco Paolini. Per campare, visto i prezzi dei generi alimentari e della benzina, insegna Italiano e Storia in un istituto superiore.
Una piccola nota conclusiva. La copertina de “La quarta persona più importante” è opera Alessandro Di Sorbo.
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Cimettolafaccia – Costanzo Ferraro
written by Gianluigi Bodi
Paratesto:
E’ una cosa mia. Ho sempre avuto la sensazione che, in Italia, quando c’è di mezzo un disabile, le cose funzionino in due modi. Se non sei nessuno devi affrontare mille sfide, messe lì per l’incompenteza di chi ti circonda. Sfide architettoniche, sfide sociali, sfide lavorative. Ci vogliono le palle. Poi, se ti capita di arrivare in TV e diventi “qualcuno” allora succede il finimondo. Improvvisamente vali di più e se sei in gara vinci. Non mi va di essere ipocrita. Credo debba vincere il migliore, non credo sia giusto far diventare un disabile un caso umano perché un disabile è, prima di tutto, un essere umano. Valigie Rosse ha fatto bene a scegliere questo testo, non perché si tratta di un’autobiografia di un disabile, ma perché parla di qualcosa che dovremmo coltivare tutti: la determinazione.
Testo:
Quindi, premessa alla mano, vi dirò che “Cimettolafaccia” è un libro onesto, che ha nella coerenza la sua forza. E’ il ritratto (ahimé ridotto) di quello che ha passato Ferraro per arrivare fino a noi, oggi. Partendo dalla sua nascita, dalla ventosa che lo ha reso un disabile, per finire con la persona che ha trascritto le sue memorie è che è anche una compagna di vita. In mezzo, tutta una serie di traguardi raggiunti e anche un paio di fallimenti per cui Ferraro non incolpa la sua disabilità. Ed è questo il bello di questo libro, la disabilità non diventa mai una scusa, ma un trampolino da cui partire, un ostacolo da superare di slancio.
Nel leggere “Cimettolafaccia” ho percepito rabbia. Non sono riuscito a capire se si tratti di rabbia nei confronti della propria situazione di disabile, ma sembra che Ferraro sia molto fatalista in questo. Ho percepito una sorta di rabbia fiera, rabbia primordiale, leonina, un voler mettere in chiaro fin da subito che lui non si sente meno di voi solo perché ha difficoltà a muoversi.
Ferraro desidera affermare la propria indipendenza. Desidera mettere in chiaro che le uniche barriere sono quelle che lui pone a se stesso, ma che se ha una meta lui la conquista.
Il suo non è un racconto abbellito, è un racconto sincero, senza fronzoli, senza elaborazioni, ma diventa impressionante il parallelo tra l’infermità con la quale deve fare i conti tutti i giorni e che lui continua a combattere e l’apatia nostra di fronte ad un’infermità politica che più che fisica direi essere mentale.
La copertina, rosso acceso, ha un che di primordiale. Di totemico. La rappresentazione di una forza vitale che scorre nelle vene di Costanzo Ferraro e che non lo abbandonerà mai, soprattutto ora che al suo fianco ha qualcuno da amare.
Il libro è uscito con una tiratura di 500 copie numerate, non ci vuole molto a far parte di una piccola elite di lettori soddisfatti.
Coordinate:
Valigie Rosse è un progetto editoriale indipendente e totalmente no profit con l’unico scopo quello di promuovere la diffusione del libro.
Inizialmente Valigie Rosse era un premio di poesia, una collezione di libri fondata nel 2010 nell’ambito delle attività del Premio musicale Piero Ciampi città di Livorno. Nel 2013 è nata la collana di narrativa “Gli Asteroidi”: storie scritte in prima persona, al di fuori dai canoni e dei generi. Gli Asteroidi sono pubblicazioni sempre accompagnate da una “nota” musicale ovvero l’introduzione è affidata a un cantautore italiano (ciò lega la casa editrice alle sue origini dato che nasce da un premio musicale). Nel caso di “Cimettolafaccia” le note sono state scritte da Gian Luigi Carlone, Giorgio Li Calzi e Johnson Righeira.
Costanzo Ferraro nasce nel 1971 a Piano di Sorrento. Nella splendida Capri matura la volontà di evadere e raggiungere la “rossa” Toscana. Nel 1999 si laurea in Scienze dell’Informazione. Silvia Lavalle, invece, spezzina classe 1970, si laurea per sbaglio in Giurisprudenza, ma scrive da sempre. Dal loro incontro avvenuto nel 2010 nasce questo libro.
La collana “Asteroidi” è diretta da Tiziano Camacci. Immagine di copertina è ad opera di Riccardo Bargellini e Manuela Sagona, mentre, per il progetto grafico e l’ impaginazione Valigie Rosse si è affidata a Lisa Cigolini.
Lo so, sembra quasi una presa in giro ma credetemi se vi dico che una delle prossime big entry della tecnologia moderna, sarà il super adesivo tecnologico! Ci stanno già lavorando diversi laboratori nel mondo e tra video dimostrativi e articoli su riviste del settore sembra proprio che la messa in commercio dei primi esemplari sia prossima. Ma a che cosa dovrebbe servire questo magico attacca tutto? Vi ho già risposto, servirà ad attaccare qualunque cosa su qualsiasi superficie; nello specifico, i ricercatori stanno lavorando su un prodotto che abbia tre caratteristiche: capacità di adesione a tutte le superfici, riutilizzo dell’adesivo e alta tenuta. Sia che si tratti di un nastro sottile o di uno spray da applicare su un supporto per renderlo adesivo, la caratteristica fondamentale per un ottimo collante è la possibilità di usarlo su tutti i tipi di materiale. Il prodotto vincente dovrà attaccarsi a plastica, vetro, metallo, legno e pietra; in oltre le sue capacità non dovranno essere inibite da irregolarità sulla superficie dei materiali mantenendo il potere adesivo anche su supporti grezzi. Nel mercato attuale, la ricerca si è focalizzata su un prodotto specifico, un materiale adesivo che funzioni come delle micro ventose capace di attaccarsi e staccarsi dalle superfici senza residui e in modo da essere riutilizzato. L’idea di base è avere un nastro con la doppia faccia adesiva, in questo modo, si può attaccare lo scotch su un dispositivo e il tutto può essere fatto aderire a diverse superfici, quindi rimosso e riattaccato ogni volta che serve senza perdere le proprietà adesive. Negli ultimi anni, la tecnologia si è ispirata a due modelli presenti in natura, le zampe delle mosche e quelle del geco, tutti e due hanno la capacità di aderire a superfici varie e possono contare su una presa di acciaio ( in estate, sopra il letto, guardate il soffitto con quella mosca fastidiosa a testa in giù che non vi fa dormire e avrete la prova ). La zampa della mosca (vista al microscopio elettronico) è coperta di micro strutture che, secondo le ultime teorie, riescono a moltiplicare la forza di van der Waals (cioè una delle forze che tiene unite le molecole) su tutta l’area della zampa che aderisce alla superficie. Per la mosca e altri consimili, è facile fare queste acrobazie da arrampicatore in quanto il suo peso, rispetto alla grandezza delle zampe, è proporzionato. Animaletti più grandi però sono stati dotati dalla natura, di apparati in grado di fare le stesse prodezze (solitamente per riuscire a mangiarsi gli insetti); questo è il caso del geco, un animale famoso per la sua capacità di arrampicarsi ovunque, grazie ai moderni studi, si è riuscito a replicare su un materiale plastico o siliconico le stesse micro strutture presenti nelle zampe di questi rettili e quindi ad ottenere i super adesivi attacca-stacca. Gli utilizzi di questo nuovo materiale? Se non volete usare guanti iper tecnologici per scalate speciali ( come Batman o Ethan Hawke in Ghost Protocol) allora potete appiccicare semplicemente il vostro navigatore su una qualsiasi superficie, curva o dritta, dell’auto oppure potere attaccare il televisore alla parete senza usare un chiodo e poi staccarlo per spostarlo dove volete senza rovinare il muro. A questo punto non vi resta che “tenervi incollati” allo schermo per scoprire chi sarà il primo produttore di questo super adesivo, che non ci metterà molto a diventare un prodotto di uso comune