Se, una delle tue migliori amiche è Courtney Love e se, lei, dico lei, ti prega di farti ricoverare in una clinica per disintossicarti dalla droga allora, caro amico mio, stai proprio messo male.
Per te il rock è più di uno stato mentale, tu lo incarni, tu sei l’icona del sesso, droga (tanta) e Rock and Roll. E ci aggiungiamo pure l’alcol per essere sicuri.
Gli Stone Temple Pilots (STP) sono un gruppo Grunge/Rock che inizia la propria attività nel 86 dalle parti di San Diego. I primi movimenti li fanno sotto il nome di “Mighty Joe Young”, poi lo cambiano in quello attuale perché evidentemente la casa discografica ne capiva più di loro e con quel nome non c’era verso che sfondassero.
La band suona bene, pure dal vivo, ma il mondo discografico è lento e pachidermico, ci mettono un bel po’ per arrivare al loro debutto nel mondo della musica.
Bisogna infatti aspettare il 92 per veder uscire sugli scaffali “Core”. Ed è subito successo. Nonostante, nello stesso periodo, un altro gruppo di Seattle abbia la capacità di accentrare attorno a sé tutto quanto riguardi la musica Grunge: I Nirvana.
Eppure, gli STP tengono il colpo e il merito, oltre che della bravura dei musicisti è della voce di Scott Weiland. Uno che potrebbe uscire a farsi una serata con Axl Roses e trovarsi a doverlo portare a casa per metterlo a letto. Scott ci mette tutto quello che ha, una voce profonda, sofferta, che prorompe in scatenate manifestazione di rabbia. Ai giovani piace, parla la loro lingua, ha sempre una sigaretta in bocca e lo sguardo di quello che nel momento in cui lo guardi sai già che è altrove con la testa.
Gli anni 90 sono i loro anni.
Come detto, “Core” vende parecchio, nonostante Scott affermi di averlo scritto da sobrio. Rimane l’album più venduto della band a riprova del debutto strepitoso a cui avevamo assistito e a discapito del fatto che alcuni dei critici del tempo li avessero definiti come un sottoprodotto del Grunge dei Nirvana.
Tanto per rendervi conto della schizofrenia degli anni 90 vi basti sapere che nel 94 gli STP sono stati nominati miglior Band esordiente dai lettori del Rolling Stone Magazine e Peggior Band esordiente dai critici. Non fa una piega, giusto?
Nel 94, dopo un paio di tour a supporto dei Rage Against the Machine e dei Megadeath, si fiondano in studio di registrazione e danno vita a “Purple”. “Interstate Love Song” viene programmata nella radio sino alla noia e quando inizia a scemare l’effetto novità prodotto dall’album ecco che arriva un film. “Il Corvo”. I produttori prendono una delle canzoni degli STP e la mettono in una delle migliori colonne sonore mai prodotte. La canzone “Big Empty” è quasi una ballata, una struggente melodia accompagnata dalla voce sofferente di Weiland. Le vendite dell’album riprendono quota. Gli Stone Temple Pilots sono all’apice e quindi era tempo di scendere.
Weiland si fa arrestare per possesso di eroina e cocaina, si dichiara non colpevole, il gruppo si scioglie, lui ne forma un altro senza molto successo e dopo questo periodo di stallo ritornano tutti in studio per registrare il terzo album. “Tiny music…Songs from the Vatican Gift Shop” viene preso a bordate dai critici. La tossicodipendenza di Scott ha raggiunto livelli preoccupanti e nuoce al gruppo e alla sua vena creative. Scott è preso talmente male che non si riesce nemmeno a promuovere l’album degnamente e il tour è tutto un singhiozzo di date annullate e rinvii. E’ qui che Courtey Love lo prega di farsi curare. Segno che il fondo è a portata di mano. Nel periodo in cui Weiland prova a staccare la spina il resto della band prende una strada propria formando i “Talk Show”, ma essendo un’esperienza deludente si sciolgono subito. Anche Weiland ha un progetto tutto suo “Twelve Bar Blues”, ma niente di che. Messo di fronte alla possibilità di scegliere la sua strada creativa Weiland sembra incapace di scegliere ciò che è meglio per se stesso. L’album non rende giustizia alla carica energetica di Scott.
A noi interessano gli anni 90, per cui, l’atto conclusivo del decennio è N°.4. Un album che alterna momenti buoni a pessimi e che in un certo senso segna la fine del percorso degli STP.
Per completezza di informazione, nel 2003 esce Shangri-La Dee Da il cui pregio migliore è il titolo. Il gruppo ritorna a sciogliersi.
Dopo il classico periodo di stasi ecco che le parti si riavvicinano. Sono i giorni nostri. Tra il 2008 e il 2012 ci sono degli abboccamenti, dei contatti non ufficiali, delle mezze voci. Pare che nel 2013 esca un album nuovo degli STP, lo dice Scott Weiland in persona. Dice che gli altri hanno scritto le parti strumentali e che lui dopo deve registrare le parti vocali.
E’ tutto vero, oddio, tutto, quasi tutto.
Nel 2013 esce il nuovo album degli STP, ma non proprio. Il fatto è che prima di far uscire l’album, gli STP fanno uscire Scott Weiland dal gruppo, di nuovo, per quella che potrebbe essere l’ultima volta (a quanto ci è dato sapere).
E l’album? L’album esce, si chiama “Out of Time” ed esce a nome degli STP Chester Bennington, il cantante che, nel frattempo, una sera ad un concerto aveva dichiarato di essere diventato il nuovo cantante degli STP. Aveva anche detto ai suoi fan che non avrebbe lasciato il suo gruppo precedente, quindi, i Linkin Park erano salvi.
Novembre 2013
L’imitazione di Maurizio Crozza è geniale. Una presa in giro. E dice già tutto. Una parrucca, un po’ di trucco, un cappotto e la voce. Soprattutto la voce. Ed ecco il ministro della Giustizia Cancellieri che, telefono alla mano, risponde alle chiamate degli italiani e si attiva solo per i parenti o amici dei cosiddetti vip.
E’ normale tutto questo? Probabilmente sì. Anzi, sicuramente lo è. Nel senso che è la norma. Il nocciolo della questione si trova nella disponibilità, frutto di consolidate frequentazioni personali, di un altissimo funzionario statale nell’attivarsi per una richiesta personale. Giusta, per carità. Però, quante persone non possono mettersi in contatto con un ministro? Quasi tutti gli italiani.
La querelle Cancellieri diventa così una fotografia dell’Italia. C’è una classe, quella dei nominati e degli eletti, che vive in un’altra dimensione, percepisce un’altra realtà. La commistione tra classe politica e poteri forti esiste da sempre ed esisterà per sempre, ma un continuo ricambio della classe dirigente può permettere di alleviare il fenomeno. Un ricambio a qualsiasi livello, dai comuni fino alle cariche più alte, perché il potere rappresenta sempre un rischio. Alto. Altissimo.
Non basta, però. Serve altro. Serve la moralità. Difficile da recuperare in un Paese dove molti agiscono per curare il proprio orticello, sempre meno fruttuoso. Un’Italia in cui i dipendenti dichiarano più degli imprenditori. Un’Italia in cui il ministro della Giustizia – e con lei chissà quanti altri – è pronto ad attivarsi per i poteri forti.
Il 1982 è il mio anno di nascita. Per questo dopo essere stato a mille concerti stranieri mi ritrovo a quello di Max Pezzali, Co-Leader (?!?) del gruppo storico degli 883. Prima o poi doveva succedere. Che ve lo dico a fare? Se sei Italiano, non puoi non sapere chi sono gli 883 e chi è Max. Ma la data della scissione dal simbolo degli 883 per uscire “Max Pezzali” è una data importante sul calendario di questo cantautore.
11 Album di cui 5 raccolte per un successo che soprattutto in Italia lo relega nella schiera dei grandissimi contro 7 album di cui 2 raccolte e uno remake rap dell’Uomo Ragno. Ogni suo concerto è un sold-out, come lo testimoniano le 3 date di Milano di questi giorni. Sold out meritatissimo non lo metto in dubbio, ma quello che la gente ama e ha amato per davvero era il Max Pezzali degli 883. Troppa differenza tra i prodotti di prima e quelli di adesso. E lo dice uno che dopo tutto ha apprezzato il tentativo di avvicinarsi al mondo Rap che anche in questa serata meneghina trova la sua espressione con Emis Killa, Don Joe e Jax a supporto.
Il modo migliore per esprimere il concetto forse è che se Max Pezzali fosse uscito come esordiente nel 2004 con i soli album da solista, questo articolo non si sarebbe mai scritto e questo concerto non si sarebbe mai visto. Ne sono veramente convinto. O almeno non in queste dimensioni.
Dopo questa prefazione puntigliosa, cosa dire del Forum ieri sera? Palazzetto strapieno, anche al Parterre è stato concesso il tutto esaurito. Pubblico propositivissimo, grande spinta vocale e grande sostegno sia con quelle ad appannaggio del pubblico che a quelle no. Una bella carica degna dei grandi italiani come Vasco, Negramaro, etc..
Tre appunti grossi per rimarcare ancora di più il grande lavoro del pubblico vanno fatti:
a) l’impianto audio, scadente. Sono stato 1 settimana fa a tutt’altro concerto e la voce del cantante e gli strumenti arrivavano pieni, belli e puliti, ieri c’erano una fila di casse in meno per parte e sulle canzoni meno seguite, io ero lontano è vero ma non tanto di più dell’altra volta, la voce non giungeva chiara. Il costo del biglietto è stato lo stesso, perchè non garantire lo stesso impianto nella stessa location?
b) la scaletta: secondo me non è stata studiata con intelligenza. Capisco l’esigenza di fare un sacco di pezzi nuovi, ma troppi sono stati i “successi” dell’era Max Pezzali (su cui l’ammetto non ero preparato e dopo ieri sera mai lo sarò) a scapito di alcuni tagli illustri sui pezzi storici. L’esempio… “Il presidente di tutto il mondo” messo a spezzare il ritmo di Nessun rimpianto,La dura legge del gol, La regola dell’amico, Nord Sud Ovest Est. Il forum per l’occasione si è accomodato prendendosi una clamorosa pausa. Lo stesso vale per l’intro dei pezzi nuovi. Non sono bei pezzi né musicalmente né concettualmente. O almeno non alla sua altezza. E’ sempre stato un gran fotografo della vita italiana e non metto in dubbio che anche ora il contenuto ci sia. Ma la realizzazione è scadente.
c) i discorsi tra un pezzo e l’altro non convincevano mai nemmeno se stesso. Evitabili senza dubbio. Alcuni artisti comunicano a parole, altri devono solo cantare. Non c’è da vergognarsi. Canta.
Tutti i miei amici pensano che sia stato un brutto concerto per me. Ma no, sono contento comunque di esserci stato. Soprattutto per metà concerto. I momenti “Rotta x casa di Dio”, “Gli anni”, “Sei un mito”, “Hanno ucciso l’Uomo Ragno”, “Con un deca”, “La regina delle celebrità”, “Tieni il tempo” e il Medley sono stati veramente un bel tuffo nel passato e sono contento di averli visti. Il resto non fa per me e sinceramente anche il pubblico ha risposto decisamente meno entusiasticamente. Secondo me è un peccato.
Max20 comunque è un bell’evento che ha racchiuso una bella carica energica dentro al Forum, che ha raggiunto il suo culmine (per chi l’ha capito) quando sul palco si è manifestato il buon Repetto. Perché dobbiamo sempre ricordarlo ci sono parti dello spettacolo visto ieri sera che sono soprattutto state create di Mauro Repetto. “Le notti non finiscono, all’alba nella via…” E Max lo sa, può dare di più nel futuro.
Piccola premessa: questo articolo non sarebbe mai e poi mai esistito se, sbirciando nella home di Facebook, non mi fossi accorta che diversi miei amici avevano pubblicato dei video parodia e vignette (in stile demotivational, per intenderci) sull’ultimo video di uno dei tanti prodotti da forno di Disney Channel, ossia Miley Cyrus. Il video in questione è “Wrecking Ball”.
Sarà che il tempismo non è il mio forte, sarà che i generi musicali che prediligo sono ben altri (vi basterà dare un’occhiata ai miei articoli precedenti per capirlo), ma ho visto questo tanto discusso video solo pochi giorni fa. Una volta terminata la visione, ho chiesto a me stessa “Perché?”. Tralasciando il fatto che la Cyrus, forse perché dove vive lei fa più caldo che in Sicilia ad agosto, o magari non la pagano sufficientemente per permettersi di assumere uno stilista (e ho i miei dubbi), di fatto non ama molto vestirsi, la scena che mi ha lasciata perplessa è stata quella in cui lecca (senza alcuna malizia, che andate pensando!) … un martello, lo stesso utilizzato per demolire i muri presenti nel video (tra l’altro, sempre su Facebook, circola una vignetta in cui Thor assiste alla scena e urla come un forsennato).
Nei giorni successivi, volente o nolente, ho pensato spesso alla nuova immagine che la stessa Miley si è costruita non appena è riuscita a scollarsi di dosso l’ormai ingombrante personaggio di Hannah Montana. In particolare mi era tornata in mente l’imbarazzante esibizione ai VMA’s di quest’anno (e i volti di Will Smith e figli ne sono la testimonianza), quando uscì sul palco sfoggiando, oltre al suo solito look austero e monacale, una lunga lingua perennemente fuori dalla bocca (mi auguro che Pluto e Gene Simmons le abbiano chiesto i diritti d’autore). Ma la cosa che più mi aveva colpita è che avevo sentito dire che molte donne si erano offese per l’immagine che Miley (che, oltretutto, si è aggiudicata il primo posto fra le 100 donne più sexy del mondo secondo Maxim) ha mostrato dell’universo femminile. Probabilmente la cosa vi sorprenderà, ma questo articolo non è contro Miley Cyrus, bensì contro tutte queste donne “offese”.
A parte il fatto che la scelta di Miley, oltre ad essere esclusivamente un problema suo, è una scelta mirata e anche parecchio furba (considerando i milioni di dollari e la popolarità che ha guadagnato e che continua a guadagnare), con questo non significa che io sia a favore di una donna che scodinzola con tre metri di lingua fuori dalla bocca, oppure una donna che ama divertirsi a demolire muri con addosso solo una canotta trasparente: semplicemente, non mi sento rappresentata da questo genere di donna, pertanto ritengo che donne come Miley, che magari idolatrano il suo look desnudo, e donne come me, che prediligono qualche abito in più per coprirsi le grazie, possano tranquillamente coesistere su questo pianeta come linee parallele, senza incontrarsi mai. Così come paralleli sono i concetti di sensualità e volgarità: per quanto possano essere vicini meno di un millimetro, non si incroceranno mai.
Pertanto, invito tutte queste donne che si sono sentite offese dal più profondo dell’animo dalle movenze di Miley a scegliere semplicemente un altro modello femminile; il mondo dello spettacolo di ieri e di oggi è pieno di figure femminili che hanno steso migliaia di uomini e bloccato il traffico altrettante volte, donne che hanno creato loro stesse i concetti di eleganza e sensualità: per citarne alcune, Betty Page, Marylin Monroe, Grace Kelly, Audrey Hepburn, Greta Garbo, ma anche la nostra Sophia Loren, la quale, nonostante abbia più di settant’anni, è ancora una bellissima donna. E non dimentichiamoci della diva del burlesque, Dita Von Teese, Scarlett Johansson e tantissime altre ancora.
Infine, ma non per importanza, ci terrei a ricordare quelle donne non famose per la loro bellezza, ma per la loro intelligenza e soprattutto la loro tenacia: donne come Marie Curie, Simone de Beauvoir, Margherita Hack, Aung San Suu Kyi e tantissime altre, donne che con le loro scoperte, le loro conoscenze, ma soprattutto la loro voglia di vivere hanno cambiato il mondo. E vi assicuro che anche grazie a loro sono orgogliosa di essere donna. Quanto a Miley, sebbene non approvi le sue scelte artistiche, spero vivamente che continui a fare quello che sta facendo finché lo riterrà opportuno, alla faccia delle invidiose criticone che, ci metterei la mano sul fuoco, pagherebbero oro pur di prendere il suo posto in men che non si dica!
Per concludere: cara Miley, chi ti ama ti segue, chi non ti ama ti ignora allegramente e … preferisce vestirsi!
Alla fine ce l’abbiamo fatta, io e la mia ragazza siamo andati a vedere l’ultimo film di Checco Zalone, Sole a Catinelle. Ci siamo riusciti al terzo tentativo, gli altri due sono falliti perché, nonostante fosse proiettato in due sale di un multisala, gli spettacoli erano sempre tutti pieni, o al limite con la prima fila disponibile, ma già soffro di cervicale, non era il caso. Al terzo tentativo, di quattro spettacoli abbiamo rimediato due posti in ultima fila, ma va bene uguale, almeno ci siamo tolti il dente, in fondo si vede bene anche da li.
Il film non ve lo racconto, non mi piace fare spoiler. La mia riflessione è: Perchè il successo di questo film?
Innanzitutto è una commedia e una commedia deve essere divertente. Qui siamo quasi al comico, Luca Medici è un trituratore di gag. Fa ridere naturalmente, anche fuori dal film, se vi capita di vedere un’intervista seria, ha proprio l’attitudine a far ridere, non è mai sforzato, resta sempre naturale, mai falso. E quindi sì, il film è veramente divertente, dall’inizio alla fine.
La storia è carina, possiamo dire nuova rispetto al solito, questa volta non c’è il protagonista innamorato della ragazza, che però è disinteressata/ha problemi/è già fidanzata con uno stronzo, ma alla fine del film cambia idea e si mette con il protagonista (che è un po’ lo scheletro della maggior parte delle commedie, in particolare italiane, gli stessi primi due film di Zalone erano così), questa volta l’amore per la moglie rimane lì, praticamente congelato, perché il rapporto che fa da scheletro alla storia è quello con il figlio. Qualcosa di diverso quindi, il bambino è bravo a recitare, quindi piace anche per questo.
Quello che però mi fa più pensare, è che il personaggio Checco Zalone incarna tutti i difetti degli italiani (non tutti li hanno tutti assieme, sia chiaro, ma lui li attira magneticamente su di se). Ad esempio pensare di essere esperto di finanza, e che questa potrà dare una svolta alla propria vita, definirsi imprenditori, quando in realtà si è solo venditori porta a porta, fare le rate per tutto, senza avere la garanzia di essere in grado di pagarle. Ma anche il semplificare i problemi, quando richiederebbero una più attenta analisi), o lo sfruttamento di scorciatoie politico/massoniche per avere successo (magari vantandosene pure). Quanti di quelli che stanno leggendo hanno questi difetti, oppure conoscono qualcuno che li ha? Ecco, in quelle duecento, duecentocinquanta persone che erano al cinema con me (per non parlare di quelli che hanno affollato le sale nei giorni precedenti), quanti di questi avevano i difetti incarnati da Checco?
Ma tutti ridevano. Di se stessi, in fondo. Forse è questa la risposta alla mia domanda. Fa ridere perchè ognuno vuole ridere di se stesso, dei suoi difetti, delle sue piccole sciagure.
N.d.A. Il film mi è piaciuto, ho riso fino all’ultimo secondo. Se non l’avete visto non pensate a quello che ho scritto ma solo a divertirvi!
Fino a un paio di mesi fa non li conoscevo. O meglio sapevo chi erano ma non mi ero mai interessato a loro. 5/6 anni fa un mio collega mi invitò a gustarmi il loro album d’esordio ma dopo un ascolto veloce lasciai perdere. Ero io, non loro, il problema, ero un po’ meno aperto e concentrato su altri generi musicali. Alla fine la musica bisogna essere anche pronti ad ascoltarla, non è scontato che delle cose “belle” piacciano subito. Di oggettivo c’è ben poco.
Detto questo un paio di mesi fa scopro l’uscita del nuovo album e, ringraziando (sia io che loro eh) Spotify, non devo ne comprarlo ne far la fatica di scaricarlo. Così prendo e lascio partire AM e rimango da subito folgorato sia dalla pulizia sonora, bellissima, sempre un piacere quando trovi questa qualità, sia dal ritmo e successivamente dai testi.
Sono un gruppo maturo nonostante l’età (28 anni per il leader Alex Turner) e lo so perchè incuriosito da questo disco in 2 mesi mi sono digerito tutta la discografia, comprensiva di 5 album in 9 anni, concentrandomi sulla scaletta del concerto visto che penso sia importante arrivare preparati ad un live. Te lo godi molto di più e capisci un sacco di chicche nelle variazioni delle canzoni. La conclusione è che nonostante i vecchi pezzi avessero una marcia rock decisamente più marcata e anche se questo album, come han deciso i miei amici, puzza un po’ di Muse e un po’ di Kasabian, lo apprezzo ugualmente e decisamente.
Il concerto, un’oretta e mezza sull’orologio, è volato via velocissimo. Alex non è di sicuro un animale da palco, sempre molto statico e impostato, come i suoi capelli a “Elvis” Banana. Ma la sua voce si. Veramente notevole e mi ha impressionato. Mai una sbavatura, sempre precisa ed emozionante. Come la capacità del gruppo di suonare i pezzi. Quello che si può dire è che quello che suonano, per le band del loro genere, è di sicuro di livello complicato. Non hanno molte ballate standard. Come di altissimo livello è l’uso degli svuoti sulla base, mai banali e sempre in grado di dar la giusta spinta. Per cui questa rock band (forse indie?) che si sta spostando verso un genere meno definito, che nemmeno loro ancora sanno, merita, per me, assoluto rispetto.
I pezzi nuovi si integrano a perfezione con quelli vecchi e non saprei quali preferire, ma di sicuro so che, che siano lenti o da pogo, sono espressi magistralmente. Il palco, con discreti effetti e luci spiccatamente antiripresa (come va ormai di moda), fa un bell’effetto. I maxischermi puntati sempre sul timido Alex fanno la felicità delle ragazze presenti in sala a cui lui dedica tra le altre la splendida “I Bet you look good on the dancefloor”. Una menzione particolare al gioco di luci con le strobo di “I wanna be yours”.
Pubblico variegato e veramente partecipe tra giovanissimi, vecchi giovani e qualche giovane vecchio, penso che sia il miglior attestato di stima, più del sold out in cassa (il parterre stranamente è tutto tranne che pieno, stranezze italiche).
Il look estremamente americano anni ’60 ci sta alla grande nonostante il timbro sia chiaramente british, live from Sheffield, a confermare come questo genere musicale calzi completamente a pennello agli anglosassoni, in grado di impersonificare al meglio l’ironia e la chitarre distorte di questa generazione. Una menzione anche al batterista sempre sul pezzo e assoluto secondo protagonista, quando di solito funge più da sottofondo.
Le altre esibizioni degne di una nota di merito superiore sono stete “Suck it and see”, “Fluorescent Adolescent”, l’elettrizzante “Brianstorm” e “Arabella”. Ma giusto per voler dare alti meriti a un prodotto già di ottimo livello.
Ecco perchè il mio consiglio è quello di dare sempre una chance agli amici.. Se vi consigliano di leggere un libro, di ascoltare un disco, di mangiare in un ristorante, segnatevelo e seguite il loro suggerimento. Io di certo avrei conosciuto prima questo gruppo e ne avrei apprezzato meglio la sua evoluzione e avrei potuto vantarmi prima di consigliarvi di andare a vederli. Se vi capita, quindi, non esitate!
L’estate è lontana, ma se doveste capitare in vacanza nella riviera romagnola, ci sono delle cose che mi fa piacere che voi sappiate
1. La piadina si mangia ovunque, ristorante pizzeria bar, ma vi consiglio i chioschi. Ogni produttore di piadina vi dirà che la sua è la “vera piadina romagnola”.
2. A Ferragosto, in spiaggia e dintorni, si fanno i gavettoni. Cioè ti tirano secchiate d’acqua, soprattutto vicino alla riva. Per cui non vi arrabbiate per un po’ d’acqua e attenti a cellulari ecc. L’affermazione “ho pagato l’ombrellone, faccio ciò che voglio” non vale.
3. Oltre al mare c’è l’entroterra. Prendetevi una giornata per visitarlo, o qualche mattina. Anche qualche sera, c’è sempre una festa che vale la pena di essere visitata. Poi si mangia bene ovunque!
4. Se sei un turista, capisco che ti vuoi rilassare, ma non tutte le strade, anche se poco trafficate, sono pedonali. Quindi evita di camminare in mezzo alla strada e guardarmi con aria interrogativa quando ti accorgi che con la macchina sono dietro di te.
5. Un tempo era il Divertimentificio d’Italia. Ora le cose sono un po’ cambiate, ma i locali ci sono sempre! Quindi, se volete dormire, un po’ di rumore bisogna sopportarlo, oppure scegliere un albergo in una zona più tranquilla, comunque è sempre tutto a due passi!
6. Se avete fame e non sapete dove andare a mangiare, chiedete a qualcuno del posto. E’ meglio di Tripadvisor
7. Avete presente in TV quando parlano con la cadenza romagnola? Beh il più delle volte sbagliano. Se volete sentire il vero dialetto romagnalo andate al porto e sentite i discorsi dei marinai o degli anziani locali. Divertimento assicurato.
8. Sburon. Lo sburone fa tutto in maniera spettacolare o migliore di chiunque altro. Evitate di sfidarlo, vincerebbe per testardaggine allo sfinimento. Il romagnolo medio è sburone, ma quando esagera fa la figura del….
9. Pataca. Il pataca è quello che si vanta di cose che poi non riesce a fare, oppure l’ingenuo che si fa sempre fregare. Ma anche il goliardico, che si vuole sempre divertire e fare la patacate con gli amici. Se vi danno del pataca non offendetevi, è tutta allegria! Se invece siete una ragazza e vi dicono che siete una bella pataca è un complimento. Grezzo ma genuino.
10. Ultima cosa, se passare fuori stagione, il mare d’inverno è bellissimo
Non è un mistero. E’ un sogno. Una libidine. Col fiocco. Il segreto è messo in mostra, in evidenza, sotto gli occhi di tutti. Anzi, delle orecchie. La parola è la chiave, la radice del successo di Federico Buffa. Lui racconta, tu devi stare a sentire. E’ un affabulatore, ha il dono di rendere interessante la lettura del bugiardino dei medicinali.
Aldo Grasso ha definito il suo racconto su Arpad Weisz “la miglior trasmissione culturale dell’anno”. Cultura e sport, due aspetti della vita. Ecco, è sempre la vita la protagonista assoluta in Buffa. Agente di basket, negli anni Ottanta commentatore delle partite dell’Olimpia Milano. Qui conosce Flavio Tranquillo, il suo partner di sempre. A ruoli invertiti. Buffa prima voce, Tranquillo seconda. Si ritroveranno nel 1994, a Telepiù. Commentano le partite del basket universitario, poi la Nba. E’ un successo, sempre più grande. Sono la trasposizione nel mondo della pallacanestro della coppia Tommasi-Clerici. L’evoluzione, quasi. Il basket, quello americano di più, si presta perfettamente alla forma del racconto. A mescolare le storie. A fondere i contesti. A raccontare la vita dell’atleta. La vita della franchigia. Non solo schemi. Niente centimetri. Niente polemiche. Sport puro. Assoluto.
Per questo, Buffa non poteva funzionare nelle classiche trasmissioni calcistiche italiane. Altra stoffa. Altra musica. Eppure, lui è un grande appassionato di calcio. Tifoso del Milan, profondo conoscitore – come pochi altri – del football sudamericano. Per fortuna, Federico Ferri ha avuto una idea geniale. E se sfruttassimo le sue doti? La sua voce? La sua capacità di raccontare? Ed eccolo a raccontare la storia di Arpad Weisz. Un successo. L’ultimo, lo speciale su Platini.
Buffa è un giramondo. Ha studiato. Ha una cultura costruita a contatto con il mondo. Con le persone. Legge, si informa, studia, accumula conoscenze. E questo fa la differenza. Quando lo senti raccontare, sembra di toccare con mano la sua memoria. Non è spiattellata. E’ messa a servizio. Diverte. Fa divertire. Si istruisce. E istruisce. Peccato, non sentirlo più a commentare le partite di Nba. Migliaia di persone hanno perso un motivo per restare svegli la notte. Lo attendono i Mondiali in Brasile. Calcio, Sudamerica, cultura, sport, vita. Sarà un altro successo. E non si accettano scommesse.
Un po’ come quando il gesso stride sulla lavagna. Questa era la voce di Brett Anderson cantante e leader degli Suede (The London Suede in America, per problemi di omonimia). Una voce che si fondeva in perfetta armonia con i testi del gruppo.
In piena ondata Britpop, che il gruppo esalta e cavalca, gli Suede nascono nell’89 e si sciolgono nel 2003, per poi tornare in tempi recenti (ma a questo ci arriveremo).
Si fanno notare da subito, forse non per la musica, ma per l’aspetto androgino e ambiguo del frontman. Pure a quei tempi lì, il non essere facilmente inquadrabile, portava dei vantaggi enormi. La gente poteva parlare e sparlare di te e tu diventavi un personaggio riconoscibile.
Al quadro si aggiunge la chitarra. Bernard Butler riversa sulle canzoni degli Suede quintalate di aguzzi vetri rotti e stridori di freni. L’accoppiata voce e chitarra è una fusione, un matrimonio esemplare. L’una senza l’altra non darebbe nemmeno un quarto di ciò che vale. Ed invece assieme riescono a rendere in musica la vita suburbana della Londra dell’inizio degli anni 90, la fragilità emotiva, l’impressione di essere invisibili agli occhi degli “adulti”.
Coming up, il loro terzo album, primo senza Butler alla chitarra ha melodie più ariose, meno cupe rispetto ai precedenti lavori, che rendono i singoli più accessibili alle masse e che, in qualche modo per i non anglofoni,nascondono la profondità dei testi. L’album, infatti, si scaglia contro i valori dell’edonismo che regnava incontrastato a metà degli anni 90. Coming up esce nel 96 e, nonostante la citata assenza di Butler, ottiene un enorme successo di pubblico. Gli Suede si consacrano esponenti di punta del Britpop.
L’album successivo, “Head music” riprende in parte i temi e soprattutto la musicalità dell’album precedente ma non riesce a bissarne il successo commerciale perché, probabilmente, più che un lavoro a se stante assomiglia molto ad una parte B di Coming up. Una sorta di continuazione che viene soffocata dall’enorme successo del suo predecessore.
A new morning, del 2002 decreta il declino della band. L’album esce nel momento in cui l’interesse per gli Suede è già ormai storia passata. Forse l’edonismo sfrenato si è impadronito della scena, forse l’ambiguità non è più sufficiente ad attrarre pubblico o forse la forza del gruppo viene lentamente ad esaurirsi. L’album è un flop, il gruppo si scioglie.
A questo punto della storia, Brett si lancia in un nuovo progetto. Da vita ai “The Tears” assieme al vecchio amico Butler. Comunque la si voglia interpretare, la cosa lascia una traccia molto flebile. La band pubblica “Here come the Tears” che ricordo a malincuore come una noiosa accozzaglia di suoni e parole. Si sciolgono dopo un anno.
Brett intraprende la carriera solista tuffandosi in melodie più lente e riflessive in cui appoggia la propria voce che non riesco a definire meglio di: disperata.
Ciò che si prova ad ascoltare questi album, aldilà dei testi, è che essi siano un canto nostalgico, che siano la traccia di una nostalgia di un periodo in cui il cantante, pur scagliandosi contro gli usi e costumi della società, poteva ancora sperare nel cambiamento. Ora quel cambiamento non più all’orizzonte.
Ed infine, succede quello che succede molto spesso ai giorni nostri. Prima un gruppo si separa e poi si riunisce. Gli Suede fanno una serie di concerti, Brett pubblica un altro album solista ma ci tiene a dire al mondo che poi si chiuderà in studio con gli altri ragazzi perché gli Suede sono tornati. Per quanto, mi chiedo io? Sarà una toccata e fuga? Ovviamente il “quanto dureranno” dipenderà anche dal successo della loro iniziativa. Ed eccolo che arriva “Bloodsports”. Il pubblico lo accoglie favorevolmente, la critica sembra favorevole, Metacritic gli piazza un 80 su 100 come voto medio delle recensioni raccolte online. Un buon risultato per quella che è, signori miei, una macchina del tempo. L’ultimo album degli Suede, che loro definiscono a metà tra “Dog Man Star” e “Coming up”, ma che io vedo come un prolungamento di quest’ultimo, è in grado di farti fare un salto indietro nel tempo di quasi venti anni. Le sonorità, i testi, l’angoscia e la voce sofferente di Brett sono rimaste le stesse.
E’ un piacere riascoltarli, sperare che riescano a toccare le stesse corde di quando eri più giovane, sperare che riescano a farlo anche con le nuove generazioni, pure se questi sono dei vecchietti e pure se non escono da un talent show.
Cosa faresti se potessi tornare indietro e cambiare il futuro? Se ti dessero una opportunità di cambiare il mondo, lo faresti? Lo desideresti? E la possibilità di rovinare tutto?
Andiamo con calma. Lo spunto non è Doc Brown nè tantomeno l’indimenticabile Marty Mcfly. Ma un libro, bellissimo, di Stephen King. 22/11/1963. Il giorno dell’assassinio di Kennedy. Nella storia americana una giornata cruciale per le sorti di un cinquantennio a stelle e strisce come l’autore continua a farci notare.
Senza fare spoiling per chi non lo ha ancora letto, ma ne è intenzionato, il libro narra la storia di Jake Epping, un ragazzo del Maine (ma và?) convinto da un amico a tornare nel passato per impedire l’attentato a Kennedy, al fine di assicurare un futuro migliore al mondo (americano) senza tutti i fattacci tristemente noti come il Vietnam, la grande piaga americana, il terrorismo islamico che ha portato al 11/09 e via dicendo.
Stephen King, un maestro (lo ami o lo odi, nessuna via di mezzo) nel suo genere, dimostra di essersi accuratamente documentato sugli avvenimenti di quel giorno e per tanti il romanzo risulta più storico che fantascientifico. Per questo abbandoniamo la trama e concentriamoci sul nocciolo portante della questione: il viaggio nel tempo e le sue variazioni.
La possibilità di cambiare il passato o il futuro, dipende dal punto di vista è invitante? Quali sarebbero le vostre priorità? Un amico a cui è successo un fatto devastante, la predizione di un terremoto, fare i soldi sulle scommesse sportive… qual’è la cosa che vi stuzzica di più?
Wikipedia ci spiega che l’Effetto farfalla è una locuzione che racchiude in sé la nozione maggiormente tecnica di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali. L’idea è che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. Per cui voi tornando indietro nel tempo e modificando il giorno in cui vi siete rotti il polso, avete firmato un contratto che si è rivelato sconveniente, avete perso il gioiello storico della vostra famiglia, potreste con le vostre azioni portare alla terza guerra Mondiale. O impedirla.
L’origine teorica dell’effetto farfalla è del 29 dicembre 1979, giorno in cui il fisico Edward Lorenz presentò una relazione in cui spiegava come il battito delle ali di una farfalla in Brasile, a séguito di una catena di strani eventi, potesse provocare una tromba d’aria nel Texas. L’insolita e suggestiva relazione, diede il nome al cosiddetto butterfly effect, effetto farfalla.
Fu però Ray Bradbury a spiegarlo al grande popolo nel ‘52: “Gestire una macchina del tempo è una faccenda complicata. Uccidendo un animale, un uccellino, uno scarafaggio o anche un fiore, potremmo senza saperlo distruggere una fase importante di una specie in via di evoluzione”.
Il racconto, bellissimo, è Rumore di Tuono: nell’anno 2055 (di questo passo non succederà mai) vengono organizzati dei safari nel tempo, per cacciatori che cercano emozioni fuori dal tempo e dall’ordinario. Una spedizione però finisce male: un cacciatore spaventato scappa dalla piattaforma in metallo antigravità camminando qualche passo sulla terra di milioni di anni fa. Questo evento apparentemente insignificante causa nel futuro cambiamenti radicali, come il cambiamento del presidente appena eletto o della lingua: la targa di presentazione della ditta di viaggi nel tempo cambia e con lei anche l’inglese parlato da un socio della ditta.
Il cacciatore così controlla sotto la suola della sua scarpa, e vi trova una bellissima farfalla preistorica, morta. Per una piccola morte, eventi a catena ad effetto domino hanno cambiato per sempre il futuro.
Tutte queste e altre mille considerazioni hanno portato alla Teoria del Caos, usata per un sacco di teorie, films, organizzazioni. Per la teoria del Caos, qualunque movimento ed azione comporta conseguenze e cambiamenti di altre cose, o conseguenti eventi. Come per dire che tutto è correlato, la natura, il mondo ed anche l universo. anche qualcosa che facciamo qui che puo sembrare innocuo in realta altera qualcosa, che porta cambiamenti da altre parti.
Ora tenendo conto di tutto questo vorresti ancora cambiare il passato per cambiare il presente e il futuro? Sapendo di avere il potere di fermare eventi probanti del nostro secolo come Chernobyl, gli omicidi di Falcone e Borsellino o l’ingresso nell’Euro rischieresti per tornare in un futuro magari ancora più triste? Me lo sono chiesto durante tutta la lettura del libro di Stephen King. Come proprio ora mi sto facendo un’altra domanda.
E se non avessi pubblicato questo articolo?